Mercede Di Niro
Mercede Di Niro
Mercede Di Niro
Angiolina Mastronardi
Angiolina Mastronardi
Maria Nicola Mastronardi
Le ndòcce
Domenico Meo
CULTURA POPOLARE
IL CICLO DELLA VITA
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Concepimento, gravidanza, pronostici, nascita e prima infanzia
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0268
0268 Cagné calzìune.
Cambiare pantaloni; alla donna che non resta incinta si consiglia maliziosamente di andare con un altro uomo; v. 989.
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0269 J’ha menate a ttuzza ru mendàune.
L’ha incornata il montone, è rimasta incinta.
0270 La fémmena préna / sotte arru sole tréma.
La donna incinta sente freddo anche se sta al sole.
0271 Trippa pezzuta /ci scta la pupa, / trippa calata /ci scta ru papa.
Secondo la credenza popolare se la pancia di una donna incinta è a punta nascerà la bimba se, invece, tende a scendere verrà alla luce un maschietto; v. 722.
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0272 Té re figlie appise alla gonna.
Ha i figli appesi alla gonna, di donna che concepisce con facilità.
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0273 Mascre o chélle che ssia / viva la vérgene Maria.
Maschio o quello che sia viva la vergine Maria, l’importante è che il nascituro sia sano; M. C.
0274 Ha rrallevate ru tatéune.
Al nascituro hanno messo il nome del nonno.
0275 Bbascta che ssó bbélle a vvedajje.
Dei nascituri, più che il sesso, è importante che sono sani e belli.
0276 Pazze e ppeccerille Ddìa r’ajìuta.
Pazzo e piccini Dio li aiuta; v. 1454.
0277 Ru pessciuttille de la mamma.
Il pesciolino della mamma, si suole dire ai bimbi maschi.
0278 Sande Nechéula / dajje ru passe e lla paréula.
San Nicola dagli il passo e la parola, augurio rivolto ai piccini; v. 1685.
0279 Se n’é jjute sùole.
Il bimbo ha cominciato a camminare da solo.
0280 Citra alla fasscia / dodda alla casscia.
Bimba in fascia dote in cassa. Preparare la dote per la figlia femmina era un dovere imprescindibile.
Fanciullezza
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0281 Angora nne nnassce.
Ancora non nasce. Di bimbo che fa cose più grandi della sua età.
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0282 Chi s’addòrme che re uaglìune s’arrizza scungacate.
Chi si addormenta con i bambini si sveglia sporco di cacca; prima di fare una cosa bisogna procedere con cautela e sapere con chi la si fa; v. 1350.
0283 Chi se mbréna che re uaglìune n'ze figlia.
Chi ha un rapporto sessuale con un bambino non resta incinta; non è cosa da fanciulli!; v. 212.
0284 É ccarne che ccréssce.
È carne che cresce, riferito a bambini e ragazzi in crescita.
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0285 Te puzza la vocca de latte.
Ti puzza la bocca di latte, sei piccolo per certi ragionamenti.
0286 Nge facce cchjù!
Non ci faccio più! Lo dicevano i bambini quando, indignati, si allontanavano dai compagni e non volevano giocare più.
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0287 Pure re pulge téne la tossce!
Anche le pulci hanno la tosse! Si dice ai bambini che vogliono intervenire nei fatti e discorsi degli adulti.
0288 Quànde dòrme ne ngèrca pane (pèane).
Quando dorme non cerca il pane. Si risponde a chi chiede se un bambino è buono.
0289 Te métte le sangue alla céscta!
Ti metto il sangue al cesto; si diceva, per burla, ai bambini più discoli; v. 1713.
0290 Té paìura ma ne ndròima.
Ha paura ma non trema; detto soprattuto ai bimbi che, oggigiorno, non temono per niente chi li sgrida.
0291 Mitteje ru dite mmocca!
Mettigli il dito in bocca! Si dice di chi non è più bambino.
Gioventù, amore e vita sessuale
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0292 Chi da ggióvene se guvèrna vécchje méure.
Chi si coltiva da giovane vive a lungo.
0293Tre vòlde se va mbazzojja alla ggiuvendù, alla més'età e alla vecchjaia.
Tre volte si va in pazzia in gioventù, mezza età e vecchiaia; per amore si possono fare pazzie sempre.
0294 A ccore a cchéure.
A cuore a cuore.
0295 Sse ffé l’améure e ne ng’azzicche / pérde ru sùonne e tte fé sicche.
Se sbagli in amore non dormi e dimagrisci.
0296 Quànde se tòccane ru péde e lla gamma / se ne scòrdane de pòtr’e mamma.
Quando si toccano il giovane (il piede) e la giovane (la gamba) dimenticano padre e mamma perché sono follemente innamorati.
0297 Cuménza a mmogne la crapa (crèapa).
Comincia a mungere la capra, di ragazzo che comincia a frequentare le donne.
0298 Carne còtta nn’arvà arru macìalle.
La carne cotta non si riporta in macelleria; dopo aver commesso un errore non sempre si può tornare indietro. Forse, in tempi passati, si riferiva alla imperdonabile perdita della verginità prima del matrimonio; v. 1431.
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0299 Chi la té d’éure e chi la té de chjumme e ttattazzumme e ttattazzumme.
Chi ce l’ha d’oro e chi di piombo e tattazzùmme e tattazzùmme. Si diceva alle ragazze sfortunate in amore; M. C.
0300 Tira cchjù nu péle de ciùccia che nu paricchje de vùove.
Tira più un pelo di fica che una coppia di buoi; è davvero difficile resistere al fascino e all'attrattiva fisica femminile.
0301 Quànda se ne fa pe nu cavìute.
Quanti sacrifici si fanno per mangiare. Volgarmente quanti sacrifici si fanno per la fica; v. 488.
0302 Pe la còccia de sotte ha perduta chélla de sopre.
Perché invaghito dal sesso non ragiona più.
0303 Ce vó ru pìette calle.
Ci vuole il petto caldo. Espressione a doppio senso destinata a chi è raffreddato consigliandogli di bere il vino ben caldo, ma in realtà esortandolo a fare l'amore.
0304 Armétte l’asene alla sctalla.
Rimettere l’asino alla stalla, possedere sessualmente una donna.
0305 Arpulì ru fucióile.
Ripulire il fucile, far l’amore con una donna.
0306 Mbonne ru bbescòtte.
Intingere il biscotto, prendere in giro una persona; anche possedere sessualmente una donna; v. 689.
0307 Chéssa te caccia ru sscìerte.
Quella è donna calda e passionale, ti sfianca. Ru sscìerte è il midollo della coda delle bestie e in senso figurato la spina dorsale.
0308 Té paglia pe ccìende cavèlle.
Ha paglia per cento cavalli, è donna procace.
0309 Je foca la zélla.
In amore è focoso, fervido, caloroso; la zèlla è la tigna e provoca gran prurito e sensazione dolorosa per la reazione infiammatoria.
0310 Chélla ména chèlge.
Quella tira calci. É donna leggera o poco fedele al marito; v. 1028.
0311 S’éne rotte le còsse.
Si sono rotte le gambe; hanno avuto rapporti sessuali in segreto, trasgredendo le regole di buon costume.
0312 Quànde la fémmena nne véuue / manghe ru dejèvere c’appéuue.
Quando la donna non vuole fare l'amore nemmeno il diavolo la riesce a convincere.
0313 Ce s’éne fatte re talarègne!
Ci si sono appese le ragnatele. Si dice a donna che non ha mai fatto sesso.
0314 Fa da cupìerchje.
Fa da coperchio; si dice dell’uomo fidanzato o sposato con una donna che ha avuto rapporti sessuali con altri.
0315 Quànde ru figlie fròica ru pòtre é ffrecate.
Quando il figlio comincia ad avere i primi incontri amorosi vuol dire che il padre non è più giovane.
Fidanzamento, matrimonio, vita di coppia
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0316 La zóita / alla chjèzza se maróita.
Una giovane ha l’opportunità di maritarsi se si fa vedere in giro; chi mostra vende.
0317 Ajje fatte ru pitete arru tumbre.
Le ragazze che avevano trovato un buon partito dicevano: "Ho fatto il peto al tomolo" che stava ad indicare la soddisfazione per aver raggiunto lo scopo; M. C.
0318 S’ha mésse le calze rossce.
Si è messo le calze rosse, detto a chi ha combinato un matrimonio. O sanzaro ovvero il sensale o mediatore, uno dei mestieri antichi di Napoli, affittava case e combinava matrimoni ed era solito indossare, quale indumento distintivo, le calze rosse.
0319 Chi té cénde figlie l’alléuca / chi ne té una l’afféuca.
Chi ha cento figlie le marita, mentre succede il contrario per chi ne ha una, infatti le figlie uniche di solito sono viziate.
0320 Chi té cénde figlie le marita / chi ne té una rèscta zita.
Chi ha cento figlie le marita chi ne ha una resta zitella.
0321 Fémmene e vvóine / ammìttele appróima.
Le donne, specialmente nei tempi andati, dovevano subito trovar marito, mentre il vino va venduto o bevuto subito per non rischiare che diventi aceto; v. 519.
0322 Nn’é ppare sojja.
Non è par suo, di uno dei fidanzati che non ha la stessa condizione sociale dell'altro.
0323 S’ara spusà ca jé rrevìete arru jenùocchje.
Si dice scherzando: "Si deve sposare perché (il pene) gli è arrivato al ginocchio, per la lunga attesa".
0324 Quànde ce r’éma magné sse cumbìette?
Quando dobbiamo mangiare i tuoi confetti? Quando ti sposi?
0325 Padre, figlie e spirete sande /só ttruuàte ru féssa che mme camba.
Padre, figlio e spirito santo ho trovato il fesso che mi campa. Lo dice chi finalmente si è maritata e chiunque approfitta di una situazione favorevole; v. 1108.
0326 Ngi scta nu mùorte che n'ze róide ngi scta na spéusa che n'ze chjègne.
Non c’è un funerale che non si ride non c’è un matrimonio che non si piange di gioia; v. 404.
0327 S’ha mbeccéte re pìade.
Si è legato i piedi, si è sposato troppo giovane.
0328 S’ha misse ru mmòscte.
Si è messo il basto, si è sposato, si è caricato di un impegno gravoso.
0329 Chi se sposa féure véve arru vecale chi se sposa arru paése sojja véve arru bbecchìere.
Chi si sposa fuori beve al boccale chi si sposa al suo paese beve al bicchiere. Moglie e buoi dei paesi tuoi, infatti nel bicchiere si vede il contenuto mentre nel boccale di terracotta no.
0330 La moglie é mmése pane (pèane).
La moglie è mezzo pane; la moglie contribuisce notevolmente al buon andamento di una famiglia.
0331 La moglie fa ru maróite.
Una buona moglie fa un ottimo marito.
0332 Che la moglie: “Ru prime anne a ccore a cchéure, ru seconde a ccure a cchìure e rru tèrze a cchèlge nghìure”.
Con la moglie: "Il primo anno a cuore a cuore, il secondo a culo a culo, e il terzo a calci in culo".
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0333 La moglie nn’é ffatta callara che s’arcagna.
Visto che la moglie non è una caldaia di rame che si ricambia va scelta con premura e attenzione; adesso, però, divorziando ci si può risposare.
0334 La lite tra moglie e mmaróite / é gné la pungecatura de ru dóite.
La lite tra moglie e marito è come la punzecchiatura del dito e il più delle volte finisce in una bolla di sapone; D. C.
Figli, famiglia, parenti e comparatico
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0335 Ru figlie nné sse vénne e nné ss'accatta / se re té chi r'ha fatte.
Il figlio nè si vende nè si compra se lo tiene chi l'ha concepito.
0336 Chi ne té ìune / nne té mangh’ìune.
Chi ha un solo figlio e come se non ne avesse; una prole cospicua garantiva forza lavoro per i campi.
0337 Mazzate e ppanèlle / féne re figlie bbèlle.
Botte e panette fanno i figli belli; le punizioni servono per ben educare i figli; v. 654; D. C.
0338 Figlie ceninne ué ceninne figlie grùosse ué grùosse.
Figli piccoli guai piccoli figli grandi guai grandi, a mano a mano che la prole cresce aumentano i problemi.
0339 Ru figlie de la gallina bbiànga.
Il figlio prediletto.
0340 Ru figlie de la gallina nàira.
Il figlio disprezzato.
0341 Chi té la fémmena té pure ru mascre.
Chi ha una figlia, che si sposa, acquisisce il genero.
0342 Figlie russce e ccone pezzate (pezzèate)/ r’avisscia accìdere appéna nate (nèate).
Figlio rosso e cane chiazzato li dovresti uccidere appena nati, perché i rossi, secondo la credenza, sono cattivi; v. 252, 415.
0343 N'dé nné ffiglie e nné ffoglia.
Non ha figli.
0344 Lippe lippe lappe / ru cchjù cceninne va pe d'acqua.
Lippe lippe lappe il più piccolo va a prendere l'acqua, un tempo si usava così.
0345 Tereticche e tteretacche / ru cchjù cceninne va pe d’acqua, / ru mezzane va pe ffaróina / e rru cchjù grùosse va pe vvóine
.Tereticche e teretacche il più piccolo va a prendere l’acqua, il medio la farina e il più grande il vino; ad ognuno il proprio compito.
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0346 Na mamma camba cénde figlie e ccénde figlie ne ngambane na mamma.
Una mamma campa cento figli e cento figli non offrono cure e amore a una mamma.
0347 Chi la famiglia bbèlla o fa / che la femmenóina ara cumenzà.
Chi la famiglia bella vuole fare con la figlia femmina deve cominciare; M. C.
0348 Acqua corre e ssangue sctrégne.
L'acqua scorre, il sangue rappresenta la vita, la famiglia; D. C.
0349 Le sangue nn’arvènda acqua.
Il sangue non diventa acqua; il legame familiare è imprescindibile.
0350 Chi té mamma ne nghjègne.
Chi ha la mamma non piange; D. C.
0351 La gallina che nn’ha fetate/ sèmbre pellasctra vé chjamata.
La gallina che non ha fatto l’uovo sempre pollastra viene chiamata, così come la donna che no ha avuto figli non è mamma.
0352 Dimme a cchi sci ffiglie / e tte diche a cchi t’arrassemiglie.
Dimmi a chi sei figlio e ti dico a chi somigli perchè, volere o volare, ognuno somiglia ai genitori o ai parenti.
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0353 Figlie de uàtte acchjappa re surge.
Figlio di gatto acchiappa i topi; i figli sono simili ai genitori.
0354 Vrùocchele figlie a ffoglja.
Broccoli figli a verze; i figli di solito assomigliano ai genitori.
0355 Zomba la crapa e vva lla vigna / apprésse alla mamma va pure la figlia.
Salta la capra e va alla vigna appresso alla mamma va pure la figlia; i figli emulano i genitori.
0356 La mamma é ssechìura ru pòtre n'ze sa.
La mamma è certa il padre no.
0357 Le pane de maróite / é ppane sapróite / chélle de re figlie / é ppane de miglie.
Il pane di marito / è pane saporito / quello dei figli / è pane di miglio.
0358 Pòtre vìecchje famiglia pòvera.
Padre vecchio famiglia povera.
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0359 Quànde la famiglia s’allòiva / la casa tròima / quànde s’é llevata / é ttutta sfassciàta.
Quando la famiglia si alleva la casa trema, quando è allevata è tutta sfasciata; a mano a mano che i figli crescono i problemi aumentano.
0360 All’orte de re parìende se cógliene le mèglie foglia.
Spesso i migliori affari si fanno a discapito dei parenti; v. 769.
0361 Mamma e ffiglia / se mittene déndre a nu maccatrille, / sòcera e nnéura nn'avasctane ddu lenzéura.
Mamma e figlia entrano in un fazzolettino, per suocera e nuora, non bastano due lenzuola.
0362 Ci scta ru san Ggiuuènne.
C’è il san Giovanni, c’è il comparatico.
0363 Chi vattajja / arrattrajja.
Il figlioccio assomiglierà al compare.
Vita in generale
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0364 A cchi n'dé figlie / nge ji nné pe prìescte nné pe cusiglie.
A chi non ha figli non andarci né per prestiti né per consigli. Chi non ha figli viconsiderato incapace di dare consigli di vita.
0365 Chi ne nfràbbeca e nne maróita / ne nza che é lla vóita.
Chi non edifica case e non sposa figli non conosce i sacrifici della vita.
0366 Ce tòjje arru cùorie!
Ci tiene alla pelle!; v. 423.
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0367 Se camba na vòlda.
Si vive solo una volta e allora è meglio concedersi qualche svago.
0368 La vóita é n’affàcciata de fenèsctra.
La vita è un’affacciata di finestra, la vita è breve.
0369 Gna te fé ru lìette asscì tte culche.
Come ti fai il letto così ti corichi, come si imposta e organizza l'esistenza così si vive.
0370 Sse ccamine turtarìalle / chémbe vunarìalle, sse ccamine dritte / chémbe afflitte.
Se ti comporti così così vivi benino, se ti comporti correttamente vivi afflitto.
0371 Sctavame mèglie quànde sctavame pèjje.
Stavamo meglio quando si stava peggio; detto a cui si ricorre per evidenziare che a volte si stava meglio prima che adesso.
0372 La vita é nu turcetìure / auuójje ngure a mmé e addemane pìure.
La vita é uno strettoio oggi contro di me e domani pure; vale soprattutto per chi è poco fortunato, ma anche in una normale esistenza le ingiustizie e le sofferenze non mancano.
Età, vecchiaia, agonia e morte
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0373 La classe!
La classe. Lo dicono, salutandosi, due persone dello stesso anno di nascita.
0374 Pe ccòssa!
Per gamba! É un intercalare che serve per dubitare dell’età di una persona che ha sicuramente più anni.
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0375 Che na bbona salìute.
Con una buona salute: É l’augurio che si rivolge agli anziani quando dicono la loro età; v. 1679.
0376 Latte arru citre, carne arru ggióvene, vine arru vìacchje.
Latte al bimbo, carne al giovane, vino al vecchio; ogni cosa alla giusta età.
0377 L’éume a cinquand’ènne / jèttare a mmare che ttutte re pènne.
L’uomo a cinquantanni buttalo a mare con tutti i panni, ciò si deduce dal fatto che fino a circa mezzo secolo fa la vita, per motivi legati al duro lavoro e alle malattie, era molto più breve.
0378 Alla sessandóina / lassa le fémmene e ttoglie le vóine.
Alla sessantina lascia le donne e prendi il vino.
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0379 Ogni anne ammanga n’anne.
Ogni anno manca un anno, si dice andando avanti con gli anni perchè si affievoliscono le forze e si diventa più anziani.
0380 Alla fémmena quànd’é vvècchja / je s’ammosscia la pellécchja / ru cure je fa ffuffù / e lla chetarra ne nsona cchjù.
Alla donna quando è vecchia le si ammoscia la pelle, il culo le fa ffuffù e la "chitarra" non suona più.
0381 Só jurnate arrubbate.
Sono giornate rubate. Quando si è favoriti dal tempo fuori stagione, oppure lo dicono gli anziani che continuano a vivere; v. 56.
0382 Quànd’é ppronda la lebbrétta / arriva la fussétta.
Quando è pronto il libretto della pensione, spesse volte, arriva la morte.
0383 Sètte pèlme de tèrra t'éne armascte.
Sette palmi di terra ti sono rimasti. Devi solo morire.
0384 Nne je èssce l’alma.
Non gli esce l’anima, soffre per morire.
0385 Ce scta na légge sòccia pe ttutte.
C’è una legge uguale per tutti, la morte.
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0386 Séme tutte de passagge.
Su questa terra siamo tutti di passaggio e quindi prima o poi dob-biamo morire.
0387 Auuójje nfeghìura / addemane nseppuldìura.
Oggi in figura domani in sepoltura. Siccome la vita dell'uomo può concludersi da un momento all'altro conviene godere pienamente di ogni giornata; v. 1224.
0388 Mèglie la sanda mòrte!
Quando non se ne può più è meglio morire.
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0389 Ce èssce le sangue!
Espressione che si dice quando muore una persona giovane.
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0390 Chjagnévane pure le préte la vojja.
Piangevano tutti per il grande dolore; si sente dire quando il lutto è grave; v. 462.
0391 Accucchjé le garze.
Smagrire in viso, morire; v. 568.
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0392 S’é freùote gné na cannàila.
Si è consumato come una candela, chi è morto per malattia.
0393 Sctènne l’ogna.
Morire.
0394 J’éne scappate re pìade.
Gli sono scappati i piedi, è morto.
0395 É jjute a ffa la tèrra pe re cióice.
È andato a fare la terra per i ceci, è morto.
0396 Isse scta rru lùoche la vertà.
Lui è nel luogo della verità, si dice parlando con riguardo di una persona deceduta.
0397 La mòrte na scusa va truuànne.
Per giustificare la morte si cerca sempre una ragione e raramente si accetta che è naturale morire.
0398 La mòrte nne uàrda mbaccia a ccuvìalle.
La morte non guarda in faccia a nessuno.
0399 A Mmonderudìune / prima l’èjene e ppó re mendìune.
A Monteroduni (IS) prima gli agnelli e poi i montoni, infatti gli agnelli vengono uccisi e consumati per la Pasqua. A volte muoiono prima i giovani e poi gli anziani.
0400 Ricche e puverìalle / tutte a quìre scangìalle.
Sia ricchi che poveri devono attraversare il cancello del cimitero.
0401 A cchjègne ru mùorte só llacreme sprecate (sprechèate).
Piangere il morto son lacrime sprecate; vivere nel dolore fa male a chi è morto e a chi rimane; v. 1467.
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0402 “Chi è mmùorte?” “Nu caféune!”.
"Chi è morto?" "Un contadino!", in senso dispregiativo quasi a dire non è morto nessuno.
0403 Chi va ngaléra arrèssce chi more nn'arnassce.
Chi va in galera prima o poi esce, chi muore non torna in vita;
v. 1313.
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0404 Ngi scta nu mùorte che n'ze róide ngi scta na spéusa che n'ze chjègne.
Non c’è un funerale che non si ride non c’è un matrimonio che non si piange di gioia; v. 326.
0405 T’ajja fa la ggiòbba.
Ti devo fare la pelle.
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0406 Sole alla mòrte ngì scta repare (repèare).
Si può rimediare a tutto fuorchè alla morte; v. 1548.
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0407 Triscte a cchi se méure / ca chi rèscta se cunzéula.
É sfortunato chi muore ché chi resta si consola, si rifà una vita.
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0408 Ué e mmòrte arréte alla pòrta.
Guai e morte sono dietro la porta, sempre pronti; v. 1388.
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0409 Ué che la pala e mmòrte che nne vènga mìa.
Guai con la pala e morte che non venga mai; v. 1389.
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0410 Vale pe ll’alme de ru purgatòrie.
Vale per le anime del purgatorio, si dice se si lascia inavvertitamente la luce accesa.
IL CORPO UMANO
Corpo
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​0411 Capille a lleccanna de vacca.
Capelli talmente lisci che sembrano leccati da una mucca.
​0412 Capille e uìa / nne màngane mìa.
Capelli e i guai non mancano mai; v. 1386.
​0413 Capille lunghe e jedizie corte.
Capelli lunghi e intelligenza corta, solitamente si dice alle donne; v. 1571.
​0414 Pile russce / nènde te mùore ca nne rre canussce.
Del rosso di capelli non è facile capirne l'indole e il carattere.
​0415 Figlie russce e ccóne pezzate (pezzèate)/ r’avisscia accìdere appéna nate (nèate).
Figlio rosso e cane chiazzato li dovresti uccidere appena nati, perché i rossi, secondo la credenza, sono cattivi; v. 252, 342.
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​0416 La méglie cosa che ffacètte ru russce / jettètte ru pòtre abballe arru puzze.
La cosa migliore che fece il rosso gettò il padre nel pozzo; tradizionalmente i rossi sono considerati malvagi.
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​0417 Schitta all’asene nne je se péla la còccia.
Solo all’asino non gli si pela la testa, è la risposta dei calvi quando vengono presi in giro chè non hanno capelli.
​0418 Te sci fatta na cuzzétta!
Ti sei rasato i capelli dietro la nuca!
​0419 Dalla vocca é cchjù bbrutte chélle che ce èssce nnò cchélle che cce éndra.
Dalla bocca è più brutto quello che ci esce non quello che ci entra.
​0420 Re dìande / féne scanossce re parìande.
Il dolore di denti manda in delirio al punto di non far riconoscere nemmeno i parenti.
​0421 S’è ffatte russce gné nu paparùole.
È diventato rosso come un peperone.
​0422 Je se cóndane re patrenùosctre.
Gli si contano le costole. É magrissimo.
​0423 Ce tòjje arru cùorie!
Ci tiene alla pelle!; v. 366.
Aspetto fisico
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​0424 Chi é bbélle é bbìelle!
Chi è bello è bello!
​0425 É bbìelle gné rru séule.
È bello come il sole.
​0426 La bbellézza fine alla pòrta / la bbundà fine alla mòrte.
La bellezza fino alla porta la bontà fino alla morte; il fascino e la grazia sono importanti ma lasciano il tempo che trovano, mentre le virtù morali e umane durano per sempre; v. 975.
​0427 Scta fatte che la ccétta.
È fatto con l’accetta, è persona brutta e rozza.
​0428 Chi se re vó ngullà!
Chi se lo vuole sposare! riferito a persona brutta o non gradita.
​0429 É cchjù llarghe che llunghe.
É un grassone.
​0430 Se fa prima accavallarre che nnò a ggerèrie attorne.
Si fa prima a scavalcarlo che non a giragli attorno, si dice delle persone cicciute.
​0431 É ggné nu péde de ciàice.
È come un piede di cece, è piccolo di statura.
​0432 Nge ne scta de crescteìane.
È persona piccolissima di statura.
​0433 M'ajja fa grùosse.
Devo diventare grande; si risponde a chi dice siediti.
​0434 Mica je pésane le chèrne!
Non gli pesano affatto le carni! a chi è leggero e si muove agilmente.
​0435 S’é ffatta gné na pacca bbaccalana (bbaccalèana).
È diventata magrissima.
​0436 T’ìa métte le préte alla vòrza.
Devi mettere le pietre in tasca; si dice a chi è esile, quando soffia il vento forte.
​0437 Te mìegne le code de luscérte?
Mangi le code di lucertole? Detto a persona magra o che ha perso eccessivamente peso.
​0438 N’ùocchje mann’a ffangure l’òldre.
Allo strabico, un occhio manda a quel paese l’altro.
​0439 J’ha sctuccata la còccia.
Gli somiglia perfettamente.
​
Sensi e funzioni fisiologiche
​
​0440 L’ùocchje só fatte pe uardà.
Gli occhi sono fatti per guardare. Si risponde a chi insinua che si sta guardando qualcosa o qualcuno con atteggiamento poco consono.
0441 Sscia bbendétta Sanda Luciójja ma nge vóide!
Sia benedetta Santa Lucia ma non ci vedi!
​
0442 Te l’éne fatte le récchje.
Te l’hanno fatto le orecchie, ti è parso di udirlo.
0443 Mèglie a vvévere ca spetùa.
Meglio bere che sputare. Le anziane donne consigliano che è opportuno mettere un po’ di sale in più anziché far guastare la roba da conservare come salsiccia, salami e salsa di pomodoro.
0444 Ne nza nné de mé nné de té.
Non sa né di me né di te, non sa di niente.
0445 Ne nza nné de cacca e nné de pisscia.
Non sa né di cacca e né di piscia, non sa di nulla.
0446 É amare gné rru fòile.
È amaro come il fiele.
0447 Arvelló le palle dell’ùocchje.
Rivoltare gli occhi, per schifo o vomito.
0448 Sa d’arvacce.
Sa di ritornaci; si dice di cibi e bevande buone, quando si desidera consumarne ancora.
0449 Mèglie cùotte che ccrìude.
Meglio cotto che crudo, di qualcosa che è buona solo se cucinata.
0450 Chi ala / póca vale / o é sséte o é ffame / o é ll’amóre che ti chiama.
Chi sbadiglia vale poco o è sete o è fame o è l’amore che ti chiama.
0451 Je féne lucecappèlle l’ùocchje.
Gli si aprono e chiudono gli occhi, è abbagliato o ha sonno.
0452 N’ùocchje nne vvéde l’òldre.
Per il gran sonno, un occhio non vede l’altro.
0453 Te véde e nde vaide!
Ti vedo e non ti vedo, si dice quando si ha sonno.
0454 Cchjù ddùorme e cchjù tté sùonne.
Più dormi e più hai sonno, questo perchè si diventa pigri.
0455 Dòrme a ccùorne nghìure.
Dorme profondamente.
0456 Truuà ru uàtte alla ciàine.
Se il gatto è vicino al fuoco e si riscalda con la cenere rimasta la sera precedente vuol dire che ci si è alzati con notevole ritardo.
0457 Sci cadute darru liétte!
Sei caduto dal letto! Detto a chi si è svegliato presto.
0458 J’é ssciùte ru sedore a ffridde.
Ha sudato freddo.
0459 J’é ssciùte ru sedore la mòrte.
Ha il sudore della morte.
0460 Je culava ru sedore a ppessciarèlla.
Grondava di sudore.
​
0461 Chjagnéva gné na vita mozza.
Piangeva per il forte dolore, come per una vita stroncata.
0462 Chjagnévane pure le préte la vojja.
Piangevano tutti per il grande dolore; si sente dire quando il lutto è grave; v. 390.
0463 Chjègne sénza mazzate (mazzèate).
Piangere senza botte, senza alcun motivo valido.
​
0464 Ajja fa na massciàta che nge pòzze mannà cuvìalle.
Devo fare un servizio che nessuno mi può assolvere, espressione scherzosa prima di andare in bagno; v. 1698.
0465 Cagné l’acqua arre lepóine.
Cambiare l’acqua ai lupini, fare pipì.
0466 J’é rrevéta na scappa scappa.
Gli è arrivata una scappa scappa, la diarrea.
0467 É cchjù lle larghe che ttréuua nné chélle che lassa.
È più lo spazio che trova non quello che lascia, lo dicono i burloni dopo aver scoreggiato.
0468 Sselluzze sselluzze / vattinne abballe arru puzze.
Singhiozzo singhiozzo vattene giù al pozzo. È la formula che si recita per far cessare il singhiozzo; v. 721.
0469 Simbre Pìetre jelate (jelèate).
Sembri Pietro gelato, si dice a chi soffre particolarmente il freddo.
0470 Musse de cùone, méne de bbarbìere e ccure de fémmena só sèmbre fridde.
Naso di cane, mani di barbiere e culo di donna sono sempre freddi.
0471 Nne scta nné ngìele e nné ndèrra.
Non sta né in cielo né in terra.
​
0472 Té le cóse sajje.
Ha il ciclo mestruale.
VITA QUOTIDIANA, CASA, SALUTE E IGIENE
Fame, cibo, mangiare, non gradire, digiunare
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​0473 Ha durmute scalze.
Ha dormito scalzo. Si dice a chi, appena alzato, ha fame.
0474 Mó me èssce l’alma.
Adesso mi esce l’anima, per affaticamento o per fame; v. 585.
0475 Taglia patró ca la fama ne ngèssa.
Taglia padrone che la fame non cessa. Si sente dire intorno a una tavola imbandita con ogni ben di Dio dove c'è chi affetta prosciutto, formaggio e altro.
0476 Pane che ll’ùocchje, / casce sénz’ùocchje / e vine che tte caccia l’ùocchje.
Pane con i buchi ben lievitato, leggero e spugnoso, formaggio senza buchi e vino frizzante sono caratteristiche che li rendono prodotti ottimali; v. 512.
0477 Pane e ccappa n'ze làssane mìa.
Pane e cappa non si lasciano mai. La cappa è un mantello che veniva adoperato sia dalle classi signorili che da quelle agro-pastorali; al presente è indossata dai portatori di torce in occasione della Ndocciata; v. 599.
​
0478 Chi avètte ru fùoche cambètte / chi avètte le pane murètte.
Chi ebbe fuoco visse chi ebbe pane morì, il fuoco è più importante del pane; v. 215.
0479 Pane de funzóina, vine de bbambóine e llarde de pùorche mascre.
Pane de funzóina, vino di bombino e lardo di maiale maschio erano sinonimo di abbondanza e qualità. Funzóina potrebbe essere il soprannome della famiglia che ha diffuso questa qualità di grano ad Agnone; v. 513.
​
0480 Pane accattate (accattèate) / pane allangate (allanghèate).
Il pane comprato al forno, in tempi di carestia, rappresentava un lusso (allangate: assetato, bramoso).
0481 La mèglie carne é cchélla vecine all'ùosse.
La carne più buona è quella vicino all'osso.
0482 La pulènda / prima abbòtta e ppó allènda.
La polenta prima gonfia e poi manda di corpo.
0483 Taglia ch’é rrussce.
Taglia ch’è rosso, lo dicono a chi sta tagliando prosciutto, salame e altre cose buone da mangiare.
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0484 La parte de la vreógna.
L'ultima porzione che rimane nel piatto di portata dopo che tutti si sono serviti e che nessuno prende per vergogna o imbarazzo.
0485 Jamme pe ll’ara e ppe la trésca / maccarìune e ccarne frésca, jamme pe ll’ara e cche la cróna / maccarune arru patróne.
Andiamo sull’aia e sui covoni maccheroni e carne fresca, andiamo sull’aia e con la corona maccheroni al padrone. Un tempo si aspettavano i grandi lavori per mangiare meglio e più abbondante; M. C.
0486 Quànde se magna se cundratta che la mòrte.
Quando si mangia si contratta con la morte, quindi bisogna stare attenti a deglutire per evitare il soffocamento.
0487 Sòcche vejìute n'ze mandé ll’èrta.
Sacco vuoto non si regge in piedi; chi non mangia non ha la forza e l'energia necessaria per svolgere un lavoro o qualsivoglia attività.
0488 Quànda se ne fa pe nu cavìute.
Quanti sacrifici si fanno per mangiare. Volgarmente quanti sacrifici si fanno per la fica; v. 301.
0489 Màgnate nu mucceche.
Mangia un boccone.
0490 Chi nne mmagna a ggià magnìate.
Chi non mangia ha già mangiato.
0491 Nne mme l’arcèrca ru sctòmmache.
Non mi va, è cosa che non gradisco mangiare.
0492 Nge facce pascte.
Non ci faccio pasto, di alimenti con cui non ci si sazia a sufficienza.
0493 Nne sfèrra le garze.
Non mangia per niente.
0494 Pane alla casscia e ffama alla trippa.
Pane nella madia e fame alla pancia. Digiunare con l’abbondanza.
Sazietà, abbondanza e carestia
​
​0495 Ha magnéte pe mmagnìa.
Ha mangiato molto.
​0496 Je l’ha fatta arresscì pe le récchje.
Gli hanno fatto mangiare tanta roba.
​0497 C’ha fatte une mucceche.
Lo ha mangiato con un sol boccone.
​0498 S’é ffatte nicce nicce.
Si è ingozzato ben bene.
​0499 Té ru sfunne!
É insaziabile, sfondato.
​0500 Sande Vetucce!
San Vito! Si dice a chi sta mangiando abbondantemente.
​0501 Méglie a ffarie nu vesctóite e nnò a ddarie a mmagnìa.
Per come mangia è meglio fargli un vestito che non invitarlo a pranzo.
​0502 Trippa majja fatte vesaccia!
Pancia mia diventa bisaccia! Si dice quando ci si appresta ad una gustosa e abbondante mangiata.
​0503 Trippa chjàina dajje repéuse.
Pancia piena dagli riposo. Dopo aver mangiato, a causa della digestione, si ha bisogno di un leggero riposo.
​0504 É ttutta arregnetura de cùorpe.
É tutto riempimento di corpo per chi mangia tutto senza andare troppo per il sottile.
​0505 Quànda grazia de Ddojja.
Quanta grazia di Dio, quanta abbondanza.
​0506 Ajjugne acqua e ajjugne faróina / ch’arcréssce sande Martóine.
Aggiungi acqua e aggiungi farina così da far accrescere l’impasto, di pane, dolci o altro che si sta preparando. In senso figurato di qualsiasi cosa che si vuole aumentare pur di ottenere quanto desiderato. San Martino, nella tradizione, è il santo dell'abbondanza.
​0507 La grànera nne ména carasctojja.
La grandine non provoca una vera e propria carestia perché colpisce alcuni raccolti si e altri no e, il più delle volte, in periodi diversi; v. 85, 233.
​0508 Prima de Natale / nné fridde e nné ffama (ffèama), / dòppe de Natale / fridde e ffama (ffèama).
Prima di Natale né freddo e né fame; dopo Natale, ai problemi del gelido inverno, si aggiungono quelli legati alla mancanza di provviste; v. 33.
​0509 Sótte alla néve pane (pèane) / sótte all’acqua fame (fèame).
Se l'inverno nevica cresce abbondante il grano; se piove, invece, viene stimolata la germinazione arrecando danno ai coltivi; v. 123, 234.
Bere, vino, ubriachezza, latte, olio
​
​0510 L’acqua fa male (mèale) / e lle vine fa candà (candèa).
L’acqua fa male e il vino fa cantare; il popolo, da sempre, ha osannato il vino a discapito dell'acqua; v. 213.
​0511 L’acqua va lle spalle.
L’acqua va alle spalle; lo dicono coloro i quali amano il vino, quando gli viene offerta l’acqua.
​0512 Pane che ll’ùocchje, / casce sénz’ùocchje / e vine che tte caccia l’ùocchje.
Pane con i buchi ben lievitato, leggero e spugnoso, formaggio senza buchi e vino frizzante sono caratteristiche che li rendono prodotti ottimali; v. 476.
​0513 Pane de funzóina, vine de bbambóine e llarde de pùorche mascre.
Pane de funzóina, vino di bombino e lardo di maiale maschio erano sinonimo di abbondanza e qualità. Funzóina potrebbe essere il soprannome della famiglia che ha diffuso questa qualità di grano ad Agnone; v. 479.
​
​0514 Tené nu bbèlle bbecchìere de vóine.
Avere un buon vino.
​0515 Méglie n’ùocchje de prèjete ndèrra!
Meglio un occhio di prete a terra! Si dice quando si rovescia il vino dal bicchiere.
​0516 Mica só ffiglie de prèjete!
Non sono mica figlio di prete! Lo dice la persona a cui si versa poco vino nel bicchiere, così come si fa nel calice del sacerdote.
​0517 Scte vóine tè nu grade cchjù dell’acqua.
Questo vino ha un grado in più dell’acqua, è di modesta entità.
​0518 É ccalle gne lle pesscìate.
È caldo come la pipì, di vino o altre bevande.
​0519 Fémmene e vvóine / ammìttele appróima.
Le donne, specialmente nei tempi andati, dovevano subito trovar marito, mentre il vino va venduto o bevuto subito per non rischiare che diventi aceto; v. 321.
​0520 Le vine fa le sangue / e lla fatojja fa jettà le sangue.
Il vino, bevuto nella giusta misura fa bene, mentre il lavoro è duro e fa buttare il sangue; v. 889.
​0521 Cumblemìende de patróne e ffièschera de vóine / só bbùone la séra e t’accidene la matóina.
Attenzione agli elogi del padrone e a non bere eccessivamente; v. 1161.
​0522 Pe ffa re mbriachìune / ce vó le vine de L’Acqua Salza e cCòlle Carvìune.
Per gli ubriaconi ci vuole il vino delle vigne agnonesi di località Acqua Salza e Colle Carboni.
​0523 Le vine nn’ha fatte mé cose véune.
Ubriacarsi significa danneggiare se stesso e gli altri.
​0524 S’é ffatte gné na chjòchjara.
È ubriaco fradicio.
​
​0525 Ru muscatìelle / dà rru cervìelle.
Il vino moscatello dà al cervello.
​0526 Latte e vvine / fa la schina.
Latte e vino fanno la schiena, danno vigore, secondo gli anziani.
​0527 Ùoglie nùove e vvine vìecchje.
È sempre preferibile l’olio di annata e il vino invecchiato.
Casa, cucina, camera, attività domestiche e buio
​
​0528 Casa majja e nnìende cchjù.
Casa mia e niente più.
0529 Case e ccasarèlle / chélla majja é lla cchjù bbèlla.
Case e casette quella mia è la più bella.
0530 Casa vècchja nge màngane surge.
Casa vecchia non ci mancano topi. In una casa, anche se vecchia, c’è un po' di tutto.
0531 A terrachjìane / ce éndrane ghètte e cchìane.
A piano terra ci entrano gatti e cani, l'entrata risulta facile.
0532 Casa addó ce vatte ru séule / nge éndra nné mìedeche nné cumbesséure.
Casa dove ci batte il sole non ci entra né medico né confessore.
0533 La casa accàttala, la vigna fàttela.
La casa la si può acquistare già costruita, ma la vigna è talmente delicata che conviene piantarla e curarla in proprio; v. 245.
0534 Casa quànda ne cùopre / e ppajójesce quànda ne scùopre.
L'intento dei contadini di un tempo era di possedere grandi proprietà terriere, sinonimo di benessere, e una casa dalle giuste dimensioni; v. 232.
0535 Casa chjìusa nne ména trademìende.
In una casa chiusa non può succedere nulla di male; D. C.
0536 Casa a ddu récchje Ddìa la mmaledétta.
Casa condivisa da più famiglie Dio l’ha maledetta, perchè da un momento all'altro si verificano accese discussioni.
0537 Mare a cchélla casa / addó l’ome ne nge trase.
Sono guai in quella casa dove non c’è la presenza dell’uomo; D. C.
0538 Ru fùoche sctìute e lla céne abbelata (abbelèata).
Il fuoco spento e la cenere che ricopre qualche carbone tipico di un ambiente malinconico, di una casa triste e abbandonata.
0539 S’arrabbìvane le nguille.
Tornano in vita le anguille; si dice di un ambiente dove fa molto freddo.
0540 Aggradissce ru fùoche.
Quando fa molto freddo è gradevole stare vicino al fuoco del camino.
0541 Che ru fùoche te schélle denènde e tt’arfridde deròite.
Con il focolare ti scaldi davanti e ti raffreddi dietro.
0542 Ru fume é rru patróne la casa (chèasa).
Il fumo è il padrone di casa.
0543 Ru lìette se chjéma Rosa / chi nge dórme ce s’arpósa.
Il letto si chiama Rosa chi non dorme ci riposa.
0544 La fémmena pulóita s’arcanóssce arru pessciatìure.
La donna di un tempo dimostrava di essere ordinata se lavava bene il vaso da notte; v. 590.
0545 La fémmena desurdenata / ogni curnicchje na cacata.
La donna disordinata ogni angolo una cacca; v. 1427.
​
0546 La fémmena ssciagurata / métte ru file lunghe all’aca.
La donna non era considerata parsimoniosa se infilava nella cruna dell’ago il filo più lungo di quello che serviva.
0547 Se chéuce che nu vulle.
Si cuoce presto in acqua bollente.
0548 Taglia l’acqua e spacca le pròite.
Taglia l’acqua e spacca le pietre; di coltello poco affilato.
0549 Alla femmenóina.
Come fanno le donne: svelte, semplici e concrete; v. 1264.
0550 Nne ssce véde manghe pe asctemà (asctemèa).
Non ci si vede nemmeno per bestemmiare, si dice quando è buio.
0551 Éma scta tanda ènne alla schetrùota!
Dopo morti dobbiamo stare tanti anni all’oscuro! É abitualmente l'invito ad accendere la luce.
Salute, malattie e dolori
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​0552 Pùozze avé la salìute!
Che tu possa godere di buona salute!
0553 Pènza alla salìute!
Pensa alla salute!
0554 Pènza a scta vùone!
Pensa a stare bene!
0555 Quànde ru cure caca ru mìedeche cròipa.
Quando si va regolarmente di corpo il medico "crepa", vuol dire che si sta bene in salute e non si ha l'esigenza di essere visitati.
0556 Vatt’a ffa rculà lla fonderia.
Vai a farti fondere nuovamente alla fonderia delle campane, si dice a persona anziana, a chi ha dolori alle ossa o non sta molto bene in salute.
0557 Terlendana terlendana / l’ùosse rutte pòrta ru sane.
Terlendana terlendana l’osso rotto porta quello sano; succede che chi è privo di forza aiuta chi sta bene e chi sta male chi sta meglio.
0558 Ammusscià le récchje.
Afflosciare le orecchie, essere debilitato, diventare succube di una persona; v. 584, 964.
0559 Ha fatta na bbrutta calata (calèata).
Non sta bene in salute.
0560 S’é ffatte bbrutte.
Chi non ha un buon aspetto per malattia o altro.
0561 Scta cchjù dde llà che dde qua.
Sta per morire.
0562 Scta che Ddìa le sa (sèa).
Lo sa solo Dio come sta, detto a chi non sta per niente bene.
0563 Scta tra limbe e llambe.
É in serio pericolo di vita.
0564 Scta ccióise.
È mal ridotto, conciato male.
0565 C’é rmascte schitta ru néume.
C’è rimasto solo il nome, di persona alquanto debilitata.
0566 S’é ffatte gné Sande Làzzare.
Si è ridotto come San Lazzaro, pieno di piaghe, lividi e ferite.
0567 J’avéssa fa la grazia ru Patretèrne!
A chi soffre gli dovrebbe render grazia il Padreterno!
0568 Accucchjé le garze.
Smagrire in viso, morire; v. 391.
0569 Ru vùose quarecchjìete dura cchjù de ru sane (sèane).
Il vaso incrinato dura più di quello integro; in senso figurato, vive più a lungo chi è di salute cagionevole che chi sta bene.
0570 Le cùotte va ddu jurne annènde e ttré arròite.
La scottatura è lunga e lenta a guarire.
0571 Me se vòlda cìale.
Mi gira la testa.
0572 Male de dóite / prassé ngennóre e ppóca póita.
Il dolore al dito è, quasi sempre, forte e pungente ma nessuno ci crede e lo comprende.
0573 Me se màgnane re delìure.
Mi si mangiano i dolori.
Forza, debolezza e stanchezza
​
​0574 Fòrza de ggiùvene e ppràteca de vìecchje.
Forza di giovani e esperienza degli anziani; per fare bene le cose ci vogliono l'entusiasmo e il vigore dei giovani e la saggezza degli anziani; v. 1435.
​0575 La fòrza vé darru uedìalle.
La forza scaturisce dalla buona alimentazione.
​0576 Té sètte spirete gné ru uàtte.
Ha sette spiriti come il gatto, si dice di chi supera bene le malattie, è forte e vive a lungo.
​0577 Che le sangue all’ùocchje.
Con il sangue agli occhi.
​
​0578 A cchèlge e móccechera.
A calci e morsi, con irruenza.
​0579 Che nu pòlme de lénga daféure.
Con un palmo di lingua fuori.
​0580 Le còsse je féne ggiàcume ggiàcume.
Le gambe gli fanno giacomo giacomo, gli cedono per debolezza.
​0581 Nge la facce manghe a alà (alèa).
Non ce la faccio nemmeno a sbadigliare, ho una gran fiacca.
​0582 Se mandé che le spetùote.
Si regge con la saliva.
​0583 A mmén’e ppìede.
A mani e piedi, più che stanco.
​0584 Ammusscià le récchje.
Afflosciare le orecchie, essere debilitato, diventare succube di una persona; v. 558, 964.
​0585 Mó me èsce l’alma.
Adesso mi esce l’anima, per affaticamento o per fame; v. 474.
​0586 Ne mbó rraccòglie scìete.
Non può respirare per affaticamento.
​0587 Sctracche e mmùorte.
Stanco morto.
​0588 Sctracche e sctrutte.
Stanco e distrutto.
Cura del corpo, igiene, pulizia, sporcizia, vestire e vestiario
​
​0589 Sci n’andr'e ttande.
Così stai davvero bene! É una considerazione che si rivolge specialmente a chi si è andato a tagliare i capelli.
​0590 La fémmena pulóita s’arcanóssce arru pessciatìure.
La donna di un tempo dimostrava di essere ordinata se lavava bene il vaso da notte; v. 544.
0591 La pulezzojja apparènda che la recchézza.
La pulizia apparenta con la ricchezza.
0592 La pulezzojja fa male schitta alla vòrza.
La pulizia fa male solo alla tasca, difatti per pulire si spende.
0593 S’é ffatte gné n’óra de nòtte.
Si è sporcato vistosamente.
0594 Armìrate na nzégna!
Guardati un po’! Si dice ai bimbi che si sono sporcati giocando o a chi non è vestito in maniera adeguata.
0595 Ce pó chjandà ru petreséndre.
Ci puoi piantare il prezzemolo, detto a chi ha le orecchie sporche.
0596 Te s’é mmùorte ru uàtte?
Ti è morto il gatto? Siccome il nero simboleggia il lutto, l'espressione si rivolge a chi ha lo sporco sotto le unghie.
0597 Alle prime calle nde spuglìe alle prime fridde nde vesctojje.
Al primo caldo non spogliarti al primo freddo non vestirti.
0598 Calle de panne / ne mbòrta danne.
Il panno di lana è molto caldo e ideale per coprirsi in inverno.
0599 Pane e ccappa n'ze làssane mìa.
Pane e cappa non si lasciano mai. La cappa è un mantello che veniva adoperato sia dalle classi signorili che da quelle agro-pastorali; al presente è indossata dai portatori di torce in occasione della Ndocciata; v. 477.
​
0600 Te sci méssa la gonna rosscia e dda lundane s’arcanossce.
Hai indossato la gonna rossa che da lontano si riconosce.
LA VITA SOCIALE
Rapporti sociali, unione e affollamento
​
​0601 Me sèmbra na faccia canusscìuta.
Mi sembra un viso conosciuto.
​0602 Munde e mmundagne nz’arraffróndane ma re crestejéne sci.
Monti e montagne non si rincontrano ma le persone si.
​0603 Mittete che cchi é mmèglie de té e ffajje le spàise.
Mettiti con chi è meglio di te e fagli le spese; solitamente chi ha relazioni con persone di grado culturale e sociale più alto migliora il suo modo di vivere e di agire.
​0604 Tùogliete chi canùssce / e nde vesctì de pènne russce.
Sposa chi conosci e non vestire di panni rossi; cerca di avere a che fare con chi incontri frequentemente e non metterti in mostra con gli estranei perché puoi avere problemi.
​0605 Pe ccanossce nu crescteìene te c’ìa magné nu tumbre de sale nzìembra.
Per conoscere una persona ci devi mangiare un tomolo (circa 48 kg) di sale insieme, per cui ci vuole tempo; D. C.
​0606 Mèglie sùole che mmale accumbagnìate.
Meglio soli che male accompagnati.
​0607 Na làina ne nfa fùoche.
Una legna non fa fuoco; in certe situazioni bisogna unire le forze.
​0608 S’accocchja la vacca e rru véuue / e sse fa quànda cchjù se péuue.
Si uniscono la mucca e il bue e si fa quanto più si può; l’unione fa la forza; D. C.
​0609 Nge cape n’òcene de grèane.
Non ci entra un seme di grano per la gente che c’è.
Aiuti, favori
​
​0610 Chi vó tené ngure mensegnéure nn’ara fa re figlie prìejete.
Chi non vuole avere a che fare con monsignore non deve avere figli preti; per non essere soggetto ad altri non si devono avere particolari esigenze.
0611 Nde diche grazie pe nne ssci fore òbbleghe.
Non ti dico grazie per non esimermi dall’obbligo di rifarti il favore.
0612 Ha vuta na bbèlla pedata nghìure.
Ha avuto una bella raccomandazione; v. 1131.
Amicizia, simpatia, inimicizia, antipatia, litigi, botte,
dare una lezione, sistemare
​
​0613 Amice fatte amice pèrse.
Lo dicono gli amici quando non si vedono da lungo tempo.
​0614 Damme e ddìenghe se féne r’amóice / damme le fafe ca te dénghe re cióice.
Dammi e do si fanno gli amici dammi le fave che ti do i ceci, tra amici ci deve essere un dare e avere.
​0615 J’ha cacate ngape.
Gli ha cacato in testa, gli è particolarmente simpatico.
​0616 Je va ngure nghìure.
Gli va appresso, gli sta sempre dietro.
​0617 Tutte nu néume.
Tutto un nome, lo dice chi incontra un'amico con lo stesso nome.
​0618 Sémbrane San Bbiàse e lla Cannelléura.
Sembrano San Biagio e la Candelora, vanno sempre insieme.
​0619 Véne a ccocchja / gné ru fuse e lla chenocchia.
Vanno a coppia come il fuso e la conocchia; detto di persone che stanno sempre insieme; v. 1414.
​
​0620 Scténe cazze (tazza) e cucchjìera.
Stanno tazza e cucchiaio, stanno sempre insieme, sono molto uniti.
​0621 Cénde amóice nd’avàsctane e nu nemiche te sùpera.
Cento amici non bastano e un nemico ti rovina.
​0622 Re téne ngima alle còppe dell’ùocchje.
Non lo vedono di buon occhio.
​0623 Nne mme peìece la camenatìura.
Non mi piace il suo modo di camminare; non mi va a genio.
​0624 Sémbrane la lima e lla raspa.
Sembrano la lima e la raspa, due che litigano sempre.
​0625 Féne gné rru uàtte e rru cùone.
Fanno come il gatto e il cane, litigano sempre.
​0626 Ru cùone pellecciatare (pellecciatèare) pòrta sèmbre la pèlle scarciàta (scarcèata).
Il cane litigioso porta sempre la pelle lacerata, l’attaccabrighe rischia sempre di trovarsi nei guai o di essere malmenato.
​0627 Le cacate de la chjèzza / cchjù le manojje e cchjù ppuzza.
La cacca della piazza più la muovi e più puzza. Di argomenti discussi, già stati fonte di discordia, più se ne parla e peggio è.
​0628 Che re spusalizie e cche la mòrte se fenissceogni llóite.
Sposalizi e funerali sono le occasioni per mettere fine a ogni lite.
​0629 Quànde é ttémbe de chetógna / chi scappa nn’é vregógna.
Quando è tempo di botte chi fugge fa bene; in situazioni complesse è meglio svignarsela.
​0630 Le mazzate nne lle vó manghe l’asene.
Le botte non le vuole nemmeno l’asino.
​0631 Scté rrembùoscte.
Prima o poi dovrai avere le botte, pagare per ciò che hai fatto.
​0632 Té rpòscta na vattelóina.
Prima o poi le dovrà avere di santa ragione.
​0633 Chi cchjù ne ha se ne pòrta.
Chi più ne ha se ne porta, di botte in un eventuale scontro fisico.
​0634 Fa còccia e mmìure.
Sbattere di testa vicino al muro, detto solitamente ai bambini che meritano di essere puniti.
​0635 T’ammacche le furnacèlle.
Ti rompo gli occhi.
​0636 Te cacce l’ùocchje e tte re métte mmìane.
Ti cavo gli occhi e te li metto in mano.
​0637 Te sfarfe de sangue.
Con un pugno, uno schiaffo, ti faccio uscire il sangue dal naso.
​0638 Te sbatte ndèrra gné nu uattille.
Ti sbatto per terra come un gattino.
​0639 Te facce avvedajje a ch’ora sona mesiùorne.
Ti faccio vedere a che ora suona mezzogiorno, ti faccio vedere io!
​0640 J’ha fatte ru cure russce russce gné lle scigne.
Gli ha fatto il culo rosso rosso come quello delle scimmie, lo ha sistemato per bene, lo ha battuto nel gioco; v. 698.
0641 Métte ddu pìede déndr’a na scarpa.
Mettere due piedi dentro una scarpa, sistemare a dovere una persona.
0642 Sci truuàta la fórma la scarpa.
Hai trovato la forma della scarpa. Hai incontrato chi ti sistema.
0643 Te conde re pile nghìure.
Ti conto i peli nel culo, ti controllo, ti sistemo a dovere.
0644 Cure unde e nfarenìate.
Culo unto e infarinato, sistemato per le feste.
Vicini, ospitalità, invito, regali
​
​0645 Sctame tra la vocca e rru nùose.
Siamo tra la bocca e il naso, proprio vicini.
​0646 Pure la reggióina / ha bbesùogne de ru vecióine.
Anche la regina ha bisogno del vicino.
​0647 Sse vvó gabbà ru vecióine / cólcate la sàira e arrìzzate la matóina.
Se vuoi gabbare il vicino addormentati la sera e svegliati la mattina; per cui, nei mesi estivi soprattutto in campagna, bisogna approfittare delle fresche ore del mattino.
​0648 Sse mmenive méuue nde sctive n'andra nzé.
Se arrivavi ora non rimanevi un altro po’, si dice a chi sta per andarsene, invitandolo a restare.
​0649 Fatte chjamà (chjamèa) nde fa caccià (caccèa).
Fatti chiamare non farti cacciare. Bisogna partecipare solo quando si è invitati.
​0650 Nne ji rru matremònie se ngi mmetìete nne ji le nòzze se ngi chjamate.
Non andare al matrimonio se non sei stato invitato; chi si presenta senza invito rischia di essere rifiutato.
​0651 Ogne la carrétta.
Ungere il carretto, coltivare le amicizie con doni e regalie.
Apprezzare, non considerare
​
​0652 Tené nghjènda de mìane.
Tenere nel cavo della mano, apprezzare, stimare una persona.
​0653 Mèglie a èsse curnìute / che mmale sendìute.
É meglio subire il tradimento che essere poco considerato, inascoltato o criticato. D. C.
Educazione, maleducazione, buone e cattive maniere, cortesia, saluti
​
​0654 Mazzate e ppanèlle / féne re figlie bbèlle.
Botte e panette fanno i figli belli; le punizioni servono per ben educare i figli; v. 337; D. C.
​0655 Pane e ssénza mazze féne re figlie pazze.
Ai figli bisogna dare quello che serve, ma anche una rigorosa educazione onde evitare vizi e cattive abitudini; D. C.
​0656 Ru leùome se maglia quànde é vvérde.
Al sarmento di vitalba si deve dar forma quando è verde e piegabile, così l’educazione e i buoni insegnamenti si impartiscono a tenera età.
​0657 Sctatte séude.
Stai fermo, lo dicono i più anziani ai bimbi.
​0658 Chi t’ha data la ducaziéune.
Chi ti ha dato l’educazione.
​
​0659 La lengaccìuta se maretètte e lla petetara nò.
La linguacciuta si maritò e la scorreggiona no; colui che è volgare e manca di rispetto è addirittura peggio di chi sparla e risponde con parole arroganti e offensive.
​0660 Vale cchjù nu tratte che la massarojja.
Valgono più le buone maniere che una casa di campagna; l'educazione, la cortesia il garbo sono qualità essenziali; D. C.
​
​0661 Alla casa de ru galandéume / prima la fémmena e ppó l’éume.
A casa del galantuomo prima la donna e poi l’uomo. Come norma di buone maniere si dà la precedenza alle donne.
​Alla casa ru galandéume / annènde la fémmena e ppó l'éume.
Alla casa del galantuomo / avanti la femmina e poi l’uomo; M. C.
​0662 N'ze nnùmmenane mùorte a ttàura!
Per rispetto dei cari estinti e per non rattristare chi sta mangiando è buona educazione non nominare i morti a tavola.
​0663 N'ze parla che ru mucceche mmocca.
É buona norma non parlare con la bocca piena.
​0664 É dde poca ceremònie.
È di poche cerimonie.
​0665 Parlanne che rrespètte.
Parlando con rispetto; espressione che si aggiunge dopo aver pronunciato qualcosa di indecente.
​0666 Pòrta chjìusa vìseta fatta.
Se si va a fare visita e non si trova nessuno in casa termina l'obbligo.
​0667 Sénza mangamènde!
Senza nulla togliere a te!
​0668 Che ttande de vocca.
Con tanto di bocca, in maniera sguaiata.
​0669 Chi sputa mbaccia arre cresteìane / fa la mòrte gné rre chìane.
Sputare in faccia alle persone è roba da infami.
​0670 Chi te mbratta é rru pùorche.
Chi ti sporca è il maiale; solitamente villanie e atti offensivi si ricevono da persone di poco conto.
​0671 J’ha vuldate ru chìure.
Gli ha girato il culo, s'è n'è andato facendo una smorfia sgradevole.
​0672 Nne uàrda mbaccia a ccuvìalle.
Non guarda in faccia a nessuno.
​0673 Le vùo se dice arr'ammalate!
Lo vuoi si dice all’ammalato! É superfluo chiedere a chi è sicuro che una cosa la vuole, basta offrirgliela.
​0674 Abbadate a vvìuue!
Badate a voi! Espressione con cui i più anziani, al momento del commiato, salutano parenti, amici e conoscenti.
​0675 Damme sse quattre òssa!
Dammi la mano! Si dice quando ci si incontra tra amici.
​0676 “Gna se va?” “Ngé mmalacce”.
"Come si va?" "Non c’è male".
​0677 “Gna sctìa?” “Che ru sctòmmache mbìatte”.
"Come stai?" "Con lo stomaco in petto". Una risposta spiritosa tanto per replicare o per non rivelare come si sta realmente; v. 1707.
​0678 “Gna sctìa?” “Torte tùorte”.
"Come stai?" "Non molto bene".
​
679 Je diche schitta bbongiórne e bbonaséra.
Gli dico solo buongiorno e buonasera, lo saluto a malapena.
Ridere, deridere, scherzare, sfottere
​
​0680 Chi ride e nza che é / o e ssciòime o ce l’ha che mmé.
Chi ride senza un perché o e scemo o ce l’ha con me.
​0681 Dòppe la róisa ce vé le chjègne.
Dopo tanto ridere ci viene il pianto, suggerimento utile per i bambini che si sfrenano a giocare.
​0682 Je putive caccià re dìande.
Gli potevi estrarre i denti, per come rideva.
​0683 La risa de ru vennardojje nn’arriva arru sabbate.
La risata (la gioia) del venerdì non arriva al sabato; secondo l'antica credenza ridere di venerdì, giorno della passione di Cristo, non è di buon auspicio; v. 719.
​0684 Còccia rotta e ppéna pagata.
Testa rotta e paga la pena, il danno e la beffa; v. 1395.
​0685 Curnute e mazzeìate.
Cornuto e mazziato, il danno e la beffa; v. 1396.
​0686 J’ha redute mbaccia.
Gli ha riso in faccia.
​0687 Mannà pe le chjìeve la luglia.
Mandare a prendere le chiavi ..., fare andare una persona dove non c’è nessuno che l’aspetta, una sorta di pesce d'aprile.
​0688 Gna te toglie la pezzechìeta!
Come mi prendi in giro!
​0689 Mbonne ru bbescòtte.
Intingere il biscotto, prendere in giro una persona; anche possedere sessualmente una donna; v. 306.
​0690 Chi t’accióide a tté!
Chi ti uccide! alludendo ai buontemponi o a persone che godono di ottima salute.
​0691 Só cresòmela!
Sono albicocche! Sfottò indirizzato agli sconfitti, specialmente nel calcio, quando subiscono tante reti.
Só llècena!
Sono susine!
Só nnìuce!
Sono noci!
Festa, gioco, perdere
​
​0692 Dòppe la fèscta / anemala ndembèscta.
Dopo la festa animali in tempesta, perché durante il periodo festivo sono stati un po’ abbandonati e mal governati.
0693 Fèscta e ffìera a Ggildone.
Festa e fiera a Gildone (CB), si ama dire nello svagarsi spensieratamente.
0694 Fèscte e mmaletìembe nne mmàngane mìa.
Feste e maltempo non mancano mai.
0695 Zitte a cchi sa ru jùoche.
Zitto a chi sa il gioco, per rimprovero o ironicamente si sente dire soprattutto quando si gioca a biliardo o a carte.
0696 San Felippe bbiànghe e nnóire.
San Filippo bianco e nero. San Filippo Neri opera la protezione sui bambini che, con questa formula, lo imploravano per ottenere giustizia nel gioco.
0697 Perdì pure le còppe de ll’ùocchje.
Perdere anche le palpebre degli occhi, perdere tutto, specialmente nel gioco.
0698 J’ha fatte ru cure russce russce gné lle scigne.
Gli ha fatto il culo rosso rosso come quello delle scimmie, lo ha sistemato per bene, lo ha battuto nel gioco; v. 640.
Tristezza, consigli e calunnie
​
​0699 Mùorte e ssopretèrra.
Triste e sconsolato.
0700 Triscte a cchi n'dé nìende ma cchjù triscte é cchi n'dé nescìune.
È triste non possedere niente, ma è molto più amara la solitudine.
0701 Té ru musse appóise.
Ha il broncio, è di cattivo umore.
0702 Re cunsiglie che n'ze pàgane n'zó bbùone.
I consigli che non si pagano non sono buoni.
0703 Vó dà la rrobba tajja a cchi nne lla véuue.
Vuoi dare la tua roba a chi non la vuole; si suole dire quando si rifiuta qualcosa o un consiglio; v. 760.
0704 J’éne méssa l’ècca.
Lo hanno calunniato con dicerie infamanti.
Molesto, onnipresente
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0705 Va ppescé lla paglia ca ne nfé remmàure.
Va a pisciare sulla paglia che non fai rumore; levati di mezzo.
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0706 Nne mme fide a ssendirre.
Non ce la faccio ad ascoltarlo.
0707 Scta gné mérculeddì mmése alla settemmana (settemmèana).
Sta come mercoledi in mezzo alla settimana; di persona che ovunque si va la s'incontra.
Scta gné ggiuveddì mmése alla settemmana (settemmèana).
Sta come giovedi in mezzo alla settimana. Con lo stesso significato.
0708 Sse nge scta cacamennézza n'ze pó fa la parendézza.
Se non c’è cacamennézza non si può fare la festa che precedeva il matrimonio a cui partecipavano i parenti più stretti; detto degli onnipresenti, di chi non manca mai.
0709 Se tréuua a ogni alzata de méssa.
Si trova a ogni elevazione di messa, chi è onnipresente e seccatore.
Credenze e tradizioni
​
0710 Chélle che sse fa a Capedanne se fa tutta l'anne.
Secondo un'atavica credenza popolare quello che si fa a capodanno si fa tutto l'anno.
0711 Vularrìa ca tutte re Sènde issene e menissene e Pasqua Bbefanojja nne mmenésse mìa.
Vorrei che tutti i Santi andassero e venissero e Pasqua dell’Epifania non venisse mai. É credenza diffusa che in occasione della festa dei Santi tutti i morti lascino la loro sede nell’aldilà per quaranta giorni fino alla festa dell’Epifania, quando ognuno, pronunciando questo lamento, deve tornare al suo posto di pena o gioia eterna.
0712 Sand’Andògne, Sand’Andògne ècche ru vìecchje e ddamme ru nùove.
Sant’Antonio, Sant’Antonio ecco il vecchio e dammi il nuovo; si buttava il dentino al fuoco e si invocava il Santo.
0713 San Bbiasille / allarga ru cavutille.
San Biasino allarga il buchetto. Si invoca il Santo potettore della gola affinchè il piccino possa deglutire meglio quando il latte gli va di traverso; M. C.
0714 Cimece e pedùocchje ndèrra.
Cimici e pidocchi per terra. Il Sabato Santo, giacchè l’attimo in cui si scioglievano le campane era ritenuto dalla credenza popolare un momento fatidico, si spolveravano i materassi e si ripeteva per tre volte questa formula con il chiaro intento di allontanare il male.
0715 Che Ddìa t’ajìuta e lla Madònna te spiccia la vojja.
Che Dio ti aiuti e la Madonna ti liberi da ogni pericolo. Augurio che soleva rivolgersi anche ai ramai agnonesi quando, il 21 novembre festa della Madonna delle Grazie incamminandosi lungo i tratturi, si recavano per le vendite in Basso Molise e in Puglia; v. 1678.
0716 Sande Salvatore / tutte galline e une candatore.
Formula che pronunciavano le donne quando la chioccia covava le uova in attesa della loro schiusa per augurarsi la nascita di molte galline e di un solo gallo.
0717 Éma métte a mmolle le cuteche.
Dobbiamo mettere a mollo le cotiche; si diceva, anni or sono, quando si avvicinava la terza domenica di settembre, festa della Madonna Addolorata.
0718 Jurnata Natèale.
Lo stesso giorno della settimana in cui è capitato il Natale è ritenuto fatidico e quindi appropriato per l’uccisione del maiale e svariati lavori della campagna; v. 156.
0719 La risa de ru vennardojje nn’arriva arru sabbate.
La risata (la gioia) del venerdì non arriva al sabato; secondo l'antica credenza ridere di venerdì, giorno della passione di Cristo, non è di buon auspicio; v. 683.
0720 Uócchje dritte / core afflitte, / uócchje manghe / core franghe.
Gli occhi tremano per la contrazione involontaria dei muscoli; secondo la tradizione se batte l'occhio dritto il cuore è afflitto, se il manco il cuore è franco e libero da ogni pensiero o delusione.
0721 Sselluzze sselluzze / vattinne abballe arru puzze.
Singhiozzo singhiozzo vattene giù al pozzo. È la formula che si recita per far cessare il singhiozzo; v. 468.
0722 Trippa pezzuta /ci scta la pupa, / trippa calata /ci scta ru papa.
Secondo la credenza popolare se la pancia di una donna incinta è a punta nascerà la bimba se, invece, tende a scendere verrà alla luce un maschietto; v. 271.
0723 Nn’accavallà ru citre ca ne ngréssce.
Secondo l’antica credenza non si deve mai passare al di sopra del bimbo altrimenti non cresce.
0724 Ddé tte bbendóica, t’avéssa fa ru malùocchje.
Dopo aver elogiato le qualità di una persona, per evitargli il malocchio, si aggiunge: "Dio ti benedica".
0725 Métte re pìede all’acqua.
Mettendo i piedi nell’acqua si crede faccia diventare grandi.
0726 Putéme vattejé l’asene.
Possiamo battezzare l’asino! Si dice, non sapendone il motivo, quando si incontrano tre persone con lo stesso nome.
0727 Sse chelòccia ru sctóipe é mmale signe.
Se scricchiola l’armadio e segno premonitore di disgrazie.
0728 Caduta de dènde / mòrte de parènde.
É credenza diffusa che se si sogna la caduta di un dente si potrà verificare la morte di un parente.
Forestieri, emigrazione
​
0729 R’agnunòise é amànde de re frasctìere.
L’agnonese è amante dei forestieri e favorisce i commercianti di fuori; v. 229.
0730 A cCòlle Menghéune / arvedérce (addìa) Agnéune.
A Colle Mingone arrivederci Agnone. Si trova sulla provinciale 86 Istonia che conduce a Isernia, poco dopo il bivio verso Fontesambuco e Castelverrino (Cassille). É il colle dell'addio per quanti vivono lontano perchè, una volta oltrepassato, non si vede più Agnone.
Legge, giustizia e ingiustizia, innocenza, potere e potenti
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0731 La légge é ffatta a ccappìelle de prèjete.
La legge è fatta a cappello di prete, non ha versi né regole precise.
0732 Le cambane s'éna sendì ccocchja.
Le campane si devono sentire tutte e due; giudizi e valutazioni si esprimono dopo aver ascoltato le parti.
0733 Na vòlda pe d’ìune ne nfa male a nescìune.
Una volta ciascuno non fa male a nessuno.
0734 Séme tutte de carn'e òssa.
Siamo tutti di carne e ossa, abbiamo difetti, sofferenze, dolori.
0735 Chi ricche e cchi marenare.
Chi ricco e chi marinaio, si sente dire allorchè si fanno due pesi e due misure.
0736 L’èsene annènde e rre cavèlle arròite.
Gli asini avanti e i cavalli dietro, succede quando un ruolo o una mansione non si affidano con criteri di merito.
0737 L’èsene lìttecane e lle varélera se sfàssciane.
Gli asini litigano e i barili si sfasciano, le beghe tra quelli che contano le pagano sempre i più deboli, gli incolpevoli.
0738 Ne mbó vatte sòcche vatte sacchétta.
Pur di non prendersela con il responsabile di un comportamento inopportuno si dà la colpa a chi non ha fatto nulla.
0739 Pe ru peccatéure pate ru juscte.
Per chi sgarra, spesso, paga l'incolpevole.
0740 La pésscia gròssa s’ha magnéta sèmbre chélla cenénna.
Il pesce grande (il ricco) ha mangiato sempre quello piccolo (il povero).
0741 Tré ssó re putìende: / ru Papa, ru rré e cchi n'dé nìende.
Tre sono i potenti: il Papa, il re e chi non ha nulla. D. C.
La scuola
​
0742 Che vve mbàrane alla schéula.
Che vi insegnano a scuola! Si suole dire ai ragazzi quando non si comportano adeguatamente o non sanno rispondere a qualcosa che si studia a scuola.
0743 Còpia copiasse all’ésame n'ze passa.
Copia copiasse agli esami non si passa, però si copia da sempre.
0744 Passà sotte arru bbanghe.
Passare sotto il banco, non essere promosso.
L'ECONOMIA E IL LAVORO
Soldi, roba, ricchezza, guadagno, risparmio, perdita, spesa
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​0745 Re sòlde féne armenì la viscta arrre cechìate.
I soldi fanno tornare la vista ai ciechi; la potenza del denaro.
0746 Chi té re sòlde conda / chi té la moglie bbèlla canda.
Chi ha i soldi li conta e gioisce, chi ha una bella moglie è fiero di lei; v. 946.
0747 Sòlde e ùocchje quànd’éne sscìute nn’arréndrane cchjù.
Soldi e occhi una volta usciti non rientrano più.
0748 Re sòlde de carta se re màgnane re surge.
Le banconote se le mangiano i topi ovvero gli eredi, perciò è meglio spenderli.
0749 Sòlde e ccéppe sécche appicciàne ru fùoche déndre all’acqua.
I soldi e le fascine secche risolvono ogni problema a tal punto che, queste ultime, prendon fuoco anche dentro l'acqua.
0750 Re sòlde spicce: re vìecchje nne rre videne e rre uaglìune se re màgnane.
I soldi spiccioli: i vecchi non li vedono e i bambini se li mangiano.
0751 Che re sòlde mìa tunne tunne / vaglie ngure a ttutte ru munne.
Con i soldi mie tondi tondi ci faccio quello che voglio e li spendo dove e come mi pare.
0752 Sòlde chi re tòjje e uìa chi re aje.
Soldi chi li possiede e guai chi li ha; nel bene e nel male a ognuno il suo; v. 1387.
0753 Che tternisce e ccéppe sécche / se fa la cucina cétte.
Con tornesi (antica moneta) e fascine secche si fa subito la cucina; avendo a disposizione quel che serve si riesce a fare ogni cosa.
0754 Re sòlde re vaglie a ttòglie alla bbanga l’assciùvra.
I soldi li vado a prendere alla banca dove scivolano le banconote, alla banca che non esiste; v. 1728.
0755 Ru mùorte camba re vóive.
Con i soldi di chi è morto, sovente, vivono gli eredi.
0756 Ce vone re paparuóle.
Ci vogliono i soldi.
0757 Menarse nu pugne mbìatte.
Tirarsi un pugno in petto, tirar fuori i soldi a malincuore.
0758 La rrobba: chi la fa, chi la mandòjje e cchi la sctrujje.
La roba: chi la fa, chi la mantiene e chi la sperpera.
0759 L’alma a Dojja e lla rrobba a cchi se la tòglie.
L’anima a Dio e la roba a chi spetta; v. 1769.
0760 Vó dà la rrobba tajja a cchi nne lla véuue.
Vuoi dare la tua roba a chi non la vuole; si suole dire quando si rifiuta qualcosa o un consiglio; v. 703.
0761 La gallóina se spénna dòppe mòrta.
La gallina si spenna dopo morta; dell'eredità si beneficia dopo la dipartita del proprietario.
0762 La rrobba se ne va apprésse arru patràune.
La roba va ad altri con la morte del padrone.
0763 Rrobba truuàta / mitte alla vòrza ca nn'é rrubbata / ss'arrèssce ru patrone / ména bbòtte ca nn'ha raggióne.
Roba trovata metti in tasca che non è rubata, se riesce il padrone non può accusare perchè non ha ragione.
0764 Ru satulle ne ngréde all’addeìune.
Colui che è sazio (ricco) non crede a chi non ha nulla da mangiare (povero); v. 823.
0765 Chi té pólvere spara (spèara).
Chi ha polvere spara; chi ha forza, mezzi e potere economico li usa.
0766 L’acqua va ddó scta l’aldra.
L’acqua va dove c’è l’altra, la ricchezza si aggiunge al benessere.
0767 L’acqua va rru mmare (mmèare).
L’acqua va al mare, i soldi dove ci sono altri quattrini.
0768 Pùorche grasse gliènna se sònna.
Il maiale grasso sogna le ghiande; il ricco, invece, patrimoni e beni; v. 260; D. C.
0769 All’orte de re parìende se cógliene le mèglie foglia.
Spesso i migliori affari si fanno a discapito dei parenti; v. 360.
0770 Carié l'acqua che le récchje.
Caricare l’acqua con le orecchie, lavorare molto per necessità, accumulare sempre di più; v. 885; D. C.
0771 Pe ffa re ternóisce / se féne re varlóisce.
Per guadagnare i soldi (i tornesi) si fanno le piaghe (i sacrifici); v. 893.
0772 Vìata a cchélla rrobba ch’ajjuta ru patràune.
Il padrone è contento quando produce abbondantemente; proprietari, datori di lavoro e quanti possiedono qualcosa gioiscono di fronte ai buoni risultati; D. C.
0773 Accatta a cculme e vvénne a rrase.
Compra con la misura ricolma e vende con quella giusta, lo fa chi ci guadagna; v. 795.
0774 Quànde tìe mandìe quànd'é scurte dajje tutte.
Quando possiedi non sperperare e dona tutto se non hai più niente.
0775 Arponne pe ccasce vìecchje.
Conservare per formaggio vecchio, riporre senza usufruirne.
0776 Fa le nòzze che re fugne.
Fare le nozze con i funghi; spendere poco o fare una cosa non avendo i mezzi necessari.
0777 Ji sparagne mógliema arru lìette e ll’èldre se la frécane pe le fratte.
Io risparmio mia moglie al letto e gli altri la possiedono sessualmente tra le siepi; risparmiare il proprio per favorire gli altri non è affatto conveniente.
Ji sparagne mógliema arru lìette e rru dejèvere se la pòrta pe le ròcchje.
Risparmio mia moglia al letto e il diavolo se la porta tra le siepi.
0778 Léna tonne, pane sciuróite e vvine d’acióite só rru sparagne de la casa (chèasa).
Legna tonda perchè arde poco, pane ammuffito e vino inacidito sono il risparmio della casa; D. C.
0779 Cagné l’ore che le chjumme.
Cambiare l’oro con il piombo, cambiare rifondendoci.
0780 Sctipa ca trùove.
Conserva che te lo ritrovi; v. 835.
0781 Cagné l’ùocchje pe la càuda.
Scambiare l’occhio per la coda, fare il cambio rimettendoci.
0782 C’ha rmisse l’oglie e rru sùonne.
Ci ha rimesso l’olio e il sonno, ci ha perso molto.
0783 Fa la puttana ngredènza.
Fare la puttana senza farsi pagare, perdere tempo e denaro; v. 183.
0784 É cchjù la spàisa / che la mbràisa.
È più la spesa che l'impresa; non vale la pena impegnarsi quando la spesa supera il guadagno.
0785 Ss’ajja cagné pèppa pe ppèppa me ténghe pèppa majja.
Se devo cambiare una cosa con un'altra peggiore di quella che ho preferisco tenere la mia.
0786 J’ha pesscéte mmìane.
Gli ha urinato in mano, lo ha mal pagato.
0787Accatta a rrase e vvénne a cculme.
Compra con la misura esatta e vende con quella stracolma, lo fa chi ci perde; v. 796.
0788 Ha perdìute asene e ccapisctre.
Ha perduto asino e capestro, non ha più niente.
0789 La pèquera che mmàula pèrde ru vuccàune.
La pecora che bela perde il boccone; non bisogna perdere tempo; v. 195.
0790 Ru ùode ru mugnetìure.
Il passaggio obbligato per le pecore da mungere, in senso figurato qualsiasi sportello destinato a servizio pubblico dove si paga.
0791 Vacca magna vacca paga (pèaga).
Se la mucca va a mangiare nei pascoli altrui le spese del danno arrecato andranno pagate con quanto lei stessa produce; come a dire chi fa il danno se lo paghi.
Commercio, contrattazioni, società, prestiti, debiti, crediti
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0792 Chi negòzia camba e cchi fatìa se méure.
Chi commercia guadagna bene e chi lavora come dipendente no; proverbio che oggidì non trova sempre riscontro a causa dell'alta tassazione, delle liberalizzazioni e del moltiplicarsi dei colossi dello shopping online.
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0792 Chi mosctra vénne.
Per vendere bisogna saper mostrare e far acquisire pregio ai propri prodotti o servizi.
0794 Chi desprèzza accatta.
Si tende a disprezzare una cosa quando la si vuole ottenere al prezzo più vantaggioso, oppure quando non si riesce ad averla; v. 1057.
0795 Accatta a cculme e vvénne a rrase (rrèase).
Compra con la misura ricolma e vende con quella giusta, lo fa chi ci guadagna; v. 773.
0796 Accatta a rrase e vvénne a cculme.
Compra con la misura esatta e vende con quella stracolma, lo fa chi ci perde; v. 787.
0797 Alla fìeria vacce / alla petéca sctacce.
Alla fiera ci vai solo nel giorno prestabilito al negozio ci devi stare sempre.
0798 Isse a ccercà (ccerchèa) / e ji a ddà (ddèa).
Lui a chiedere e io a dare, lo dice chi vuol ben pattuire un affare.
0799 Cagna cagna / e ll’aréfece ce uadagna.
Con il cambio dell’oro ci guadagna l’orefice. Attenzione agli scambi!
0800 Une é ppicca e ddu só ttròppe.
Quando si forma una società andare d'accordo è difficile e perciò una persona non basta e due sono troppe.
0801 Chi mbrèsta / nge ne rèscta.
Succede, a volte, che una cosa prestata non viene restituita.
0802 Sse rru prìescte fosse vùone se prestésse pure la moglie.
Se il prestito fosse buono si presterebbe anche la moglie; D. C.
0803 Quànde une te vé ttruuà / caccosa ìa dà, / dòppe che je le sci ddate scta cundìende e ssuddesfatte, sse je le vé rcercà / cumènza a asctemà / asctema tande spisse, / sémbra ca tu ja dà isse.
Quando uno ti viene a trovare qualche cosa gli devi dare, dopo che gliel’hai data è contento e soddisfatto, se gliela vai a richiedere comincia a bestemmiare, bestemmia tanto spesso e sembra che tu gli devi qualcosa; infatti a chi presta nulla gli resta.
0804 Se chjéma Pìetre.
Si chiama Pietro, con molta probabilità deriva dalla famosa rima: "Pietro torna indietro", con il chiaro significato che ciò che è stato prestato deve tornare al possessore.
0805 Dibbete tìenghe e dibbete facce / nénde che mme méure me re cacce.
Debiti ho e debiti faccio fin quando muoio li estinguo, così si eprime chi ha poca accortezza nella gestione economica.
0806 Chi té re dibbete r’ara pagà chi té re pecchìete r’ara chjègne.
I debiti vanno estinti e, per il male commesso, la pena va pagata; v. 1775.
0807 Ru mmale pagatéure / re paga ru Segnéure.
Il cattivo pagatore lo punisce il Signore.
0808 Scróive ca pó lìagge.
Scrivi che poi leggi, è la triste sorte di chi non sarà mai pagato.
0809 Picca, mmaleditte e ssubbete.
Pochi, maledetti e subito. Anzichè correre il rischio di non riscuotere da pessimi pagatori o enti, conviene prendere meno ma subito; D. C.
Prezzo, costo, spese, povertà, miseria, elemosina, dare e avere,
dividere, conservare, conteggiare
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0810 Acchjappà nganna.
Prendere per la gola, far pagare caro.
0811 Fecché re dìande.
Infilare i denti, chiedere un prezzo alto.
0812 J’ha fatte ru carizze.
Gli ha fatto pagare un caro prezzo.
0813 Gna vó magné mìagne.
Come vuoi mangiare mangi. Puoi scegliere e spendere in base alle disponibilità.
0814 Ha fatta la fine de dun Paulóine che ddecéva la méssa che ru tezzàune.
É finito come don Paolino che diceva la messa con il tizzone; si dice di chi è in difficoltà anzitutto economica e naviga in cattive acque.
0815 Je manga nu sòlde p’accucchjé na lóira.
Gli manca un soldo per arrivare a una lira, chi è privo di un niente per realizzare un obiettivo o a chi gli manca sempre qualcosa; v. 1271.
0816 Ji nnénde a cceppetìalle.
Andare avanti con piccoli ceppi, alla men peggio; v. 1324.
0817 Ji nnénde a fferfelìate.
Andare avanti a fil di ferro, a stenti; v. 1323.
0818 Ha paccheìata la fama (fèama).
Ha sofferto la fame nera.
0819 Acciaccà re pedùocchje.
Acciaccare i pidocchi, patire la miseria e la fame.
0820 N'dené manghe l’ùocchje pe cchjégne.
Non avere nemmeno gli occhi per piangere, essere poverissimo.
0821 N'dené manghe l’accia ténda.
Non avere nemmeno la canapa filata e tinta, non avere nulla.
0822 N'dé nné ffùoche e nné llùoche.
Non ha né fuoco e né casa, gli manca quasi tutto.
0823 Ru satulle ne ngréde all’addeìune.
Colui che è sazio (ricco) non crede a chi non ha nulla da mangiare (povero); v. 764.
0824 Ru cùone mócceca ru scarciàte (scarcèate).
Il cane morde chi ha i pantaloni strappati, la sfortuna si accanisce con i più deboli.
0825 É rmase che na méne denènde e una deròite.
È rimasto con una mano davanti e una dietro, senza niente.
0826 Ru mmale guvernate re guvèrna Ddojja.
Il mal governato lo governa Dio che vede e provvede per tutti.
0827 La mesèria vó ru sfizie.
Chi è povero vuole togliersi gli sfizi esagerando e non rendendosi conto delle proprie possibilità.
0828 S’ha fatta cacché lemósena.
Ha fatto qualche elemosina, ha aiutato gli altri; volgarmente di donna che si è concessa di tanto in tanto agli uomini.
0829 Setacce mìa setacce / gna me fé accuscì t’arfacce.
Setaccio mio setaccio come mi fai così ti rifaccio; in realtà il setaccio, in una sorta di va e vieni, svolge un movimento sincrono che allude alla parità (dare e avere) nella forma e nella misura.
0830 Sénza nìende n'ze fa nìende.
Senza niente non si fa niente, solo sperando in una ricompensa si fa qualcosa.
0831 Chésse é ppane mbrìescte.
Questo è pane prestato. Si dice dopo aver fatto un dovere o un regalo che prima o poi si riceverà in cambio.
0832 Chi paga appróima é mmale servìute.
Chi paga prima e mal servito; quindi, per stimolare chi deve riscuotere, è opportuno versare il dovuto alla fine.
0833 Chi sparte / ha la mèglie parte.
Chi si occupa della divisione cerca di assicurarsi la migliore proprietà.
0834 Spérte palazze ch’arvènda candéune.
Dividi palazzo che diventa macigno, pietra; si sente dire con rammarico quando c’è poco da dividere.
0835 Sctipa ca trùove.
Conserva che te lo ritrovi; v. 780.
0836 Chi la séra lassa la croscka / la matina se la roscka.
Chi la sera lascia la crosta del pane la mattina la può mangiare, chi conserva trova.
0837 Cinghe e quàttra néuue / facce ru cunde e nne mme tréuue.
Cinque e quattro nove faccio il conto e non mi trovo, si dice burlescamente quando i conti non tornano; v. 1694.
0838 Conda e cconda e mmanga coda longa.
Conta e conta e manca la pecora con la coda lunga, spesso si sente dire quando non si ritrovano i conti; v. 1695
Spreco, sperpero, fallimento, delusione
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0839 Chi té re sòlde e nn’ha che ce fa (fèa) / accatta ru pùorche e rre dà uardà (uardèa).
Chi ha i soldi e non sa come spenderli trova un modo banale per farlo.
Chi té re sòlde e nn’ha che ce fa (fèa) / accatta le vacche e lle dà uardà (uardèa).
Chi ha i soldi e non sa cosa farci compra le mucche e se le fa pascolare.
0840 Chi camba sénza cunde / more sénza cande.
Chi vive senza farsi i conti muore senza canto, non avrà vita facile; M. C.
0841 Grane tutte aùscte e vvine tutta vennégna.
Grano in agosto e vino alla vendemmia, in senso figurato si dice a chi tende a scialare e a largheggiare nel consumo; v. 144.
0842 La rrobba de l’avare se la magna ru ssciambagnéune.
La roba dell’avaro se la mangia lo spendaccione; i beni di chi è stato risparmiatore vanno agli eredi che li spenderanno tra svago e godimento.
0843 Ru cannaróine é sctritte / ma se magna la casa che ttutte ru titte.
La gola è stretta ma mangia la casa e il tetto. I peccatori di gola e gli spendaccioni sono in grado di sperperare ricchezze e possedimenti.
0844 S’ha pulute le mìane.
Si è pulito le mani, ha dato o dilapidato tutto quello che aveva.
0845 Sse tte le mégne gnèrva all’ara nge ne pùarte.
Se le mangi appena raccolte, sull’aia non ci porti nulla; a chi consuma tutto e subito non gli rimane niente; D. C.
0846 Mercande fallìute nn’abbada a nderèsse.
Il mercante fallito non bada agli interessi, non ha niente da perdere.
0847 Se n’é jjut’a ffa fotte.
Se n’è andato a farsi fottere; è andato in rovina; v. 1275.
0848 Se n’é jjute a zzampe pe d’aria.
Se n'é andato a gambe all’aria, è fallito; v. 1276.
0849 Se n’é jjute all’acióite.
Se n’è andato all’aceto, in malora, ha perso ogni cosa; v. 1277.
0850 Armanì che nu pugne de mosche mmìene.
Rimanere con un pugno di mosche in mano, senza ricavare niente.
Qualità, quantità
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0851 A mmèglie a mmèglie.
Le cose migliori, le più prelibate.
0852 Acquajuó l’acqua é ffrésca?
Acquaiolo l’acqua è fresca? É ovvio che se si chiede ad un venditore com’è la sua mercanzia dirà che è magnifica.
0853 Céppe de cìerre, cima de votte e frégna de ciòppa.
Fascine di cerro, parte alta della botte dove il vino è limpido e vulva di donna zoppa, sono tre cose buone.
0854 É jjute còcce còcce.
Ha reciso tutte le teste, si è facilitato il compito, ha preso il meglio.
0855 Le vine vùone se vénne sénza frasca.
Il vino buono si vende senza la concessione autorizzata. Quando una cosa è buona la reclame non serve. La frasca si poneva in bella mostra sopra i portoni per segnalare la mescita del vino; D. C.
0856 Addó màgnane tré màgnane pure quàttre.
Dove mangiano in tre mangiano anche in quattro, si dice se aumenta la famiglia o c'è un invitato; insomma a volte non è il numero che cambia le cose.
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0857 Bbendica bbendecame / cchjù ppicca ne séme e mmèglie sctame.
Bbendica bbendecame / meno ne siamo e meglio stiamo. In alcuni casi è vantaggioso essere in pochi.
0858 C’ajja pesscé davéndre!
Ci devo pisciare dentro! Si risponde a chi dà un recipiente da riempire molto più grande rispetto a quello che serve.
0859 Cénde nìende accedérne n’asene.
Cento niente uccisero un asino. Si racconta che un asino, caricato poco alla volta, cadde morto per l’esagerato carico di legna da sopportare.
0860 Crojja, cubbèlle e manghe sale (sèale).
Nulla, nulla e nemmeno il sale, niente di diente.
0861 Vìata a cchi n'dé nìende.
Beato colui che non ha nulla.
0862 Ji pe raccèppare.
Andare a raccogliere i grappoletti di uva rimasti sulle viti dopo aver vendemmiato; recuperare le briciole, quel poco che è rimasto.
0863 Merchènde e ppùorce / se pésane dòppe mùorte.
Mercanti e maiali si pesano dopo morti; dei primi, così come per gli avari, i soldi accumulati in vita si possono quantizzare dopo il decesso, dei secondi il peso e la qualità della carne si verificano ad uccisione avvenuta.
0864 Pe nu file e nu licce.
Per un pelo, per poco.
0865 Sse nn’avàscta ce mitte la jonda.
Se non basta ci metti l’aggiunta, si risponde a chi dice non basta.
0866 Le picca avascta e lle prassé manga.
Il poco basta e l'eccesso guasta, in tutte le cose ci vuole la misura.
0867 Poca pane e ppoca uìa.
Poco pane e pochi guai.
0868 Picca e bbùone.
Pochi ma buoni.
0869 Re pó vatte che la mazza.
Li puoi battere con la mazza, ce ne sono tanti.
0870 Sse cce fé culaziéune nge fé mesiùorne.
Se ci fai colazione non ci pranzi; una volta ne devi usufruire.
0871 Sctame parapatte e ppace.
Siamo perfettamente alla pari, si suol dire quando si estingue un debito o si ricambia un favore alla stessa misura.
0872 Tròppa grazia sand’Andògne!
Troppa grazia sant’Antonio! Lo dice chi ha ricevuto più di quanto si aspettava.
Lavoro, fatica, sacrificio, oziosità
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0873 Nn’ome de Ddojja!
In nome di Dio! Si diceva quando si iniziava un lavoro.
0874 S’ha mésse quattre éuua arru pejètte.
Si è messo quattro uova nel piatto, chi ha trovato un buon lavoro.
0875 Arte sott’a ttitte / Ddìa l’ha bbeneditte.
Il lavoro al chiuso, al riparo dal freddo, Dio l’ha benedetto.
0876 Asene vìecchje varda néuua.
Asino vecchio basto nuovo. Tocca sempre ai vecchi di lavorare.
0877 Assètta curille / arrigne fusille.
Per far avvolgere il filo intorno al fuso bisogna sedersi e lavorare; solo con l'impegno e il sacrificio si ottengono i risultati.
0878 Addó arrive chjènde ru pezzìuche.
Dove arrivo pianto il cavicchio, ove arrivo mi fermo, faccio quello che posso fare.
0879 Decétte ru cùorve alla pecazza / sse ne nfatojje te mégne cazze.
Disse il corvo alla pica se non lavori non mangi.
0880 La matina mbrèsscia mbrèsscia, a mmesiùrne tòcca tòcca e lla sàira annòtte annòtte.
La mattina presto presto, a mezzogiorno in gran fretta e la sera all'annottare; è il destino di chi lavora e si sacrifica ogni giorno.
0881 Arzelà re fìerre.
Rimettere a posto i ferri, si suole dire durante o al termine di varie operazioni.
0882 Che la fatìa n'zé mmé rreccute cuvìalle.
Con il lavoro onesto ci si può vivere ma non arricchire.
0883 Chi alla fatìa abbènda / che la fame nn’apparènda.
Chi è lavoratore non patirà mai la fame.
0884 La fatìa accedètte tata.
La fatica uccise papà ecco perchè non è molto bello lavorare.
0885 Carié l'acqua che le récchje.
Caricare l’acqua con le orecchie, lavorare molto per necessità, accumulare sempre di più; v. 770; D. C.
0886 La fatojja péla la coda arru véuue.
Il lavoro pela la coda al bue, la fatica è dura; D. C.
0887 J'abbuttà le garze.
Devi lavorare sodo, sacrificarti, soffrire.
0888 Fa ru bbùotte le sangue.
Schiattare vomitando sangue, lavorare molto.
0889 Le vine fa le sangue / e lla fatojja fa jettà le sangue.
Il vino, bevuto nella giusta misura fa bene, mentre il lavoro è duro e fa buttare il sangue; v. 520.
0890 Nne l’ìa mmassà che ll’acqua de la fonde / ma che ru sedore de la fronde.
La pasta fatta in casa (sagne, maccarune che ll'éuua, cavatìelle) non la devi impastare con l’acqua della fonte ma con il sudore della fronte, la devi lavorare molto e bene.
0891 Chi bbèlla vó parì / gran dolore ara patì.
Per ottenere qualcosa di buono bisogna sacrificarsi; D. C.
0892 S’ha magnìete pane e ccepolla.
Ha mangiato pane e cipolla, ha fatto grandi sacrifici.
0893 Pe ffa re ternóisce / se féne re varlóisce.
Per guadagnare i soldi (i tornesi) si fanno le piaghe (i sacrifici); v. 893.
0894 Avvezzà e ssevvezzà é ddoppia malanne.
Avvezzarsi e perdere l'abitudine costa doppio sacrificio; D. C.
0895 Pure arrubbà é na fatojja.
Anche a rubare è un lavoro.
0896 Fatìa de cumbagnojja / fatìa chi té uelojja.
Quando si lavora insieme si danno da fare solo i più volenterosi.
0897 Ttè fatica tè!
Si dice ironicamente a chi ha poca voglia di lavorare.
0898 La fatojja corre annènde e tuu je curre apprìesse.
Il lavoro corre avanti e tu gli corri dietro, detto generalmente a chi ha poca voglia dilavorare.
0899 Ha sparate alla fatojja.
Non ha nessuna voglia di lavorare.
0900 Ha sedùote sott’alla lénga.
Ha sudato sotto la lingua, si dice a chi lavora poco.
0901 Fa l’arte de Ggalasse: / magné, vévere e scta spasse.
Fare la vita del michelaccio (personaggio assunto a simbolo del fannullone e del vagabondo godereccio): mangiare, bere e stare a spasso; il cognome agnonese Galasso, con molta probabilità, sarà servito ai nostri antenati per creare la rima.
0902 Chi fatìa magna chi ne nfatìa magna e vvàive.
Chi lavora mangia chi non lavora mangia e beve, quest'ultimo pur essendo poco incline al lavoro vive beatamente.
0903 Re zingare a mmètere.
Gli zingari a mietere; si dice quando un lavoro è svolto da incapaci o fannulloni.
Professioni, arti e mestieri
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0904 Mìedece, priéjete e ffarmaciscte / véne annènde a cCriscte.
Medici, preti e farmacisti vanno avanti a Cristo, a testimonianza dell'importanza che hanno sempre avuto tali figure nella società.
0905 Mbàrate l’arte / e mmìttela da parte.
Impara l’arte e mettila da parte; un mestiere o una professione possono essere utili in qualsiasi momento della vita.
0906 Ogni arte crépa nu fécate.
Ogni mestiere crepa un fegato, ogni lavoro ha i suoi inconvenienti.
0907 L’arte de tata / é mmésa mbarata.
Chi impara "l'arte" dei genitori è avvantaggiato perchè gli vengono tramandati tutti i segreti del mestiere.
0908 Ógnune all’arte sajja e rru lupe alle pèquera.
Ognuno deve fare il suo mestiere con competenza e attitudine, come il lupo che è abile ad ammazzare le pecore.
0909 L’arte se sa ma ne ngorre.
Il mestiere si sconosce bene ma non rende.
0910 É n’arte cecata (cechèata).
È un mestiere cieco; solo chi lo svolge ci capisce e può chiedere qualsiasi prezzo al cliente.
0911 Ru scarpare ticche ticche / sèmbre pòvere e mmé ricche.
Il calzolaio ticche ticche sempre povero e mai ricco.
0912 Pane cùotte e ppéde assutte só lla salute de ru pequerare (pequerèare).
Pane cotto e piedi asciutti sono la salute del pastore.
Fare da soli
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0913 Isse se la canda e isse se la séuna.
Se la canta e se la suona, fa tutto da solo.
0914 Cummanna e ffa (ffèa).
Comanda e fa. Chi fa da sè fa per tre; D. C.
0915 Dittele e ffattele.
Dillo e fallo, agisci da solo che è meglio.
0916 Chi vó va, chi nne vó manna.
Chi vuole va, chi non vuole manda; gli obiettivi si raggiungono anzitutto puntando sulle prorie forze.